IL PURO SENSO DELLA VISTA

La ricerca fotografica di Marina Giannobi parte da un preciso obiettivo, quello di catturare la vita, nella sua ordinaria quotidianità, cercando di coglierne quelle energie iper_visive che un’osservazione superficiale non potrebbe percepire.
L’artista lavora quindi sul limite percettivo, sul puro senso della vista, arricchendolo di nuove esperienze cognitive che concorrono ad una sorta di ricostruzione della realtà, trasfigurata da quelle energie vitali che esistono e che la compongono effettivamente, ma che solo “l’occhio elettronico”, nelle mani di un artefice consapevole, è in grado di svelare e ricondurre allo sguardo.
Giannobi utilizza lo strumento valorizzandone le caratteristiche tecnologiche e strutturali proprie, ma non in modo “imitativo”, quanto creativo. L’apparecchio fotografico digitale subisce quindi un impulso nuovo, si piega ed adegua a precise esigenze espressive, non imponendo il proprio status operativo ma favorendo un’alterazione delle proprie funzioni. È esattamente l’estensione del proprio programma interno auspicata dallo studioso Vilélm Flusser nel suo saggio “Per una filosofia della fotografia”.
Flusser compie un’accuratissima analisi di tutti i vari passaggi che caratterizzano il procedimento fotografico: dal significato di immagine tecnica allo strumento specifico per realizzarla (l’apparecchio fotografico) dal gesto del fotografo al risultato concreto di questo impulso (la fotografia) sino alla sua distribuzione e alla ricezione da parte del pubblico, offrendo infine delle spiegazioni plausibili circa la necessità di queste considerazioni.
L’idea di base è riassumibile in questa fulminea frase: “il cambiamento è informativo, l’abituale ridondante. [...] In questo consiste anche la sfida per il fotografo: contrapporre a questa marea di ridondanza immagini informative.”(pag. 87-88).
Il “bombardamento iconico” al quale siamo sottoposti quotidianamente ha in effetti abbassato di molto il livello d’attenzione per la qualità dell’immagine ed è difficile coglierla ed attribuirle il giusto valore.

 Immersed in a sea of light

Letteralmente la parola “fotografia” significa “scrittura con la luce” e nell’opera di Marina Giannobi questa caratteristica “tecnica” diviene il soggetto preponderante, la materia originaria, generata e plasmata dal proprio tocco creativo. L’artista compie un gesto, un movimento delle mani che imprime fisicamente un leggero spostamento dell’obiettivo, un impulso in grado di alterare e trasformare il dato fenomenico in una nuova realtà, che appare come immersa in un “mare di luce”, che tutto investe e trasfigura con la propria emanazione energetica.
Nella metodologia creativa ed operativa dell’artista, il rapporto con la luce, senza la quale non esisterebbero le cose, la realtà e l’intero universo, è talmente stretto e di vitale importanza da determinare attivamente la sua azione di trasformazione dell’ambiente circostante, che perde quindi le proprie peculiari caratteristiche oggettive a favore di una suggestiva e più coinvolgente resa atmosferica. Spettri cromatici, emanazioni termiche e vapori iridescenti originano da corpi e oggetti in uno stupendo tripudio di vitalità, l’artista in questo modo sembra saper cogliere, col proprio occhio elettronico, gli stati d’animo, le vibrazioni emotive, le intensità vitali, riuscendo a fotografare le energie pure della realtà, come se si autogenerassero da stupende e diurne “aurore boreali”. Ciò che appare evidente, anche ad un fugace sguardo, e che in effetti determina la percezione del risultato finale di ciascuna opera, è la presenza di forti contrasti luministici e la perdita di riferimenti cromatici “naturalistici”; ogni immagine risulta come filtrata da una pellicola in grado di “smaterializzare” le forme, sfaldare i contorni di oggetti e persone, trasformando tutto ciò che si trova di fronte allo sguardo in evanescenti fasci luminosi, che attraversano l’intero campo visivo e ne attenuano le profondità, mantenendo comunque attiva la consapevolezza di un’effettiva e concreta dimensione spaziale.
Lo studio dello spazio e delle sue caratteristiche fisiche ed atmosferiche, è quindi un aspetto importante della ricerca visiva di Marina Giannobi, colto non nella sua semplice forma di contenitore, quanto piuttosto nella sua specificità di ambiente popolato da presenze concrete, attive ed interagenti con esso. Il moto non è quindi solo quello fisico del gesto che muove l’apparecchio fotografico, ma è anche quello dell’artista stessa e delle persone che questo spazio lo vivono, determinando, coi loro spostamenti, dei continui flussi di energia e di calore che l’obiettivo percepisce e restituisce nella loro assoluta visibilità. La sensazione è effettivamente quella di una sequenza di fotogrammi che vanno a comporre un particolare percorso visivo, una ricognizione spazio-temporale che coglie solo la pura essenza delle cose, tralasciando il superfluo e facendo risaltare unicamente la sostanziale struttura interna della vita e delle cose.

In occasione di questa sua esposizione personale, Marina Giannobi presenta lavori appartenenti alla serie Reconstruction, un’indagine che parte dall’effettiva “decostruzione” della realtà oggettiva, per mezzo di una successione di scatti eseguiti con impercettibili slittamenti temporali, che trova pieno compimento nella sua completa “ricostruzione” attraverso un complesso procedimento di ricomposizione che vede anche la compartecipazione attiva dello spettatore.
Questa serie è composta da sequenze di immagini realizzate in vari luoghi, interni ed esterni, il cui impianto strutturale subisce solo delle minime variazioni sull’inquadratura, la luminosità e a volte sulle dominanti cromatiche, presentando quale principale caratteristica un dinamismo che potremmo ricondurre alle ricerche e alle realizzazioni del primo futurismo, alla compenetrazione dei piani e alla totale fusione dell’ambiente e di tutto ciò che lo compone, in una vera e propria “ricostruzione dell’universo”.